Dove i tabià parlano piano - Val di Zoldo
- federicamodenese
- 19 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 20 mar 2024
Coi - Il borgo degli antichi tabià - Val di Zoldo (BL)
Percorro la strada d'asfalto che conduce al piccolo cuore di questo abitato fiabesco.
Avrei preferito risalire il fitto bosco di abeti rossi e larici, partendo da Mareson, ma oggi il cielo plumbeo preannuncia diversa neve e decido di ridurre distanze e fatica camminando sulla via principale. Legate allo zaino ho le ciaspole, inseparabili compagne delle mie scarpinate invernali, chè se mi salta il matto, al rientro, scendo il ripido sentiero fino a valle.
Il borgo di Coi prima lo ascolti, poi lo attraversi, e alla fine lo annusi.
Mi accoglie con parole appena sussurrate, mentre attorno tremola una nevicata lenta.
Coi è uno stato d'animo: porta in sè voci di suoni e rumori sommessi, respiri di odori ghiacciati, pensieri leggeri.
E' fiato denso, calpestio di passi d'ovatta, nebbia di nuvole, il gorgoglio della fontana, lo scricchiolio di un portone, fruscio di rami secchi, una campana del mezzogiorno, fiocchi sul viso, aria carica di tempesta, silenzio.
E' profumo di ceppi bruciati, resina di abeti addormentati, briciole di legno umidiccio, erba fradicia, minestrone sul fuoco, un pollaio, l'orto sepolto, fieno a riposo, cipolla soffritta, l'ultima stalla rimasta.
Solo dopo, Coi, diventa scoperta, borgo, storia e memoria.
Spalano i camminamenti, all'ingresso del paese.
Sessanta centimetri o più, da ieri sera a stamane. E' scesa copiosa, dapprima fitta e asciutta, poi bagnata e pesante. La neve di marzo è capricciosa, cambia vestito rapidamente.
Le case ed i fienili sono tutti collegati tra loro da questi stretti passaggi che accorciano percorsi verticali con alti gradini di sasso. Serve liberarli dalla coltre nevosa e rompere il ghiaccio per non scivolare. Alcuni abitanti occupano, con il loro chiacchiericcio, la stretta strada maestra, borbottano parole dal suono grave tra una palata e l'altra. Vestono camicia di lana scozzese e cappello di feltro.
Mi fermo e saluto: "Buon dì, ne ha fatta stanotte di neve, eh?"
Coi è un grappolo di case e fienili, aggrappato ai pascoli alti, sopra l'abitato di Mareson.
E' il borgo più alto della Val di Zoldo e dall'alto la domina, quasi per intero, da est ad ovest, rubando al cielo incendi di albe e tramonti.
Le nuvole hanno inghiottito la valle sottostante, Coi sta sospesa: galleggia sopra il mare d'ovatta che si muove lento ai suoi piedi.
I residenti sono venti, tutti gli altri di passaggio.
Oggi siamo in cinque: quattro abitanti con tre pale in mano e una straniera con un cellulare.
Mi incammino in silenzio a raccogliere storie del tempo.
Qui i fienili ti guardano passare: hanno grandi occhi di belle forme intagliate, alcune a fiore, altre a quadrifoglio, altre ancora a larghe foglie. Occhi sempre aperti, di giorno e di notte, il loro sguardo si posa su ogni istante di vita sotto il sole e le stelle. Sono i custodi assoluti di molti segreti, di tutte le ore che hanno oltrepassato i secoli, di ogni anima nata e cresciuta sopra questi prati, delle tracce del passaggio di pastori e greggi che hanno attraversato queste terre alte.
Le nuvole si sono abbassate sui tetti di Coi, dense come il latte.
Avvolgono di mistero gli antichi tabià, mentre inizia a fioccare lentamente.
Percorro incappucciata la stradina fino al limitare del bosco che, adagiato alle pendici del monte Pelmo, abbraccia con i suoi larici il piccolo abitato.
Da qui, il punto più alto del paese, si possono raccogliere, nella foschia, solo poche sagome di case e fienili. La giornata non concede la vista del magnifico panorama che si gode da questo incantato borgo.
Incontro Edda, una cagnolina solitaria. S'aggira attorno ai tabià in attesa della sua padrona che intravedo, avvolta nella foschia, salire in lontananza. Scatto una foto che la ritrae sullo sfondo di un fienile e m'accorgo che il suo mantello segue la linea cromatica delle tavole di legno alle sue spalle.
Che stranezza, penso fra me, questo luogo veste tutto dello stesso colore.
Decido di tornare per un sentiero non battuto che mi riporterà a Mareson. Scende ripido attraverso il bosco fino al punto di partenza. Indosso le ciaspole e mi avvio, affondando passi nella neve alta, ad imboccare quello che ho battezzato "il viale dei larici piangenti".
Respiro pura magia, rubo ogni istante di questo passaggio imbiancato, dove sembra giungano suoni di antiche cantilene e tintinnio di campanelli lontani.
Resto con il fiato sospeso, mentre mi volto indietro a salutare i tabià dagli occhi sempre aperti sul mondo. Mi abbandono allo spirito degli alberi, con la stessa leggerezza dei fiocchi di neve che accompagnano il cammino.
Questo è l'inverno di Coi.
Federica Modenese
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